Una Questione Privata viene pubblicato nel 1963, due mesi dopo la morte dell’autore Beppe Fenoglio. Italo Calvino lo definisce il romanzo della Resistenza e della generazione che l’ha combattuta. Una questione privata narra l’epopea del partigiano Milton, “un brutto: alto, scarno, curvo di spalle”, che torna per caso alla villa in cui prima dello scoppio della guerra viveva Fulvia, la ragazza di cui è innamorato. Dalla custode della casa viene a sapere che la giovane si frequentava con il suo amico Giorgio e da lì inizia la folle rincorsa di Milton, alla ricerca di Giorgio, per capire la vera natura della relazione tra i due. La guerra scorre feroce in sottofondo, i fascisti gli stanno alle calcagna, e Milton pensa a Fulvia e Giorgio.
Nelle ultime settimane mi sono ritrovata spesso a pensare a questo romanzo e a chiedermi se diventerà il romanzo anche della mia generazione. Una questione privata racconta la lotta partigiana nella sua disorganizzazione e la lotta intima di un ventenne rincorso dalla guerra e dal desiderio di un amore finito. Milton combatte non per la patria, ma per una questione privata. E quando il romanzo si conclude, la domanda che ci poniamo è: che cosa rimane di noi, quando la guerra arriva? Quali sono le priorità, in guerra? Dai racconti di chi l’ha vissuta, rimanere in vita e mangiare. Ma per cosa rimanere in vita? Fenoglio risponde con una storia di ossessione a tratti delirante, di ricordi struggenti, di un amore che non finisce con l’avvento della guerra. “Da quanto tempo non accendeva la sigaretta a Fulvia? Valeva sì la pena di attraversare a nuoto l’oceano pauroso della guerra per giungere a riva e non far altro o più che accendere la sigaretta a Fulvia”. Questi sono i pensieri di Milton, mentre attorno a lui si consuma la guerra.
La guerra sembra scorrere lontana, in un presente parallelo che non sembra intersecarsi mai con il nostro e che solo quando diventerà passato si rivelerà nella sua feroce unione al nostro quotidiano. Con due amici, appoggiati al tavolino sporco di un kebab, discutevamo di come i nostri genitori non hanno mai dovuto pensare a quanto le piccole insidie della vita assumono una portata diversa in un clima politico instabile, in cui la guerra scorre lenta e crudele accanto a noi, e non ci ha ancora travolto solo per una fortunata questione di geografia.
È da poco finita la fashion week uomo a Milano e posso dire, senza presupponenza ma anche senza vergogna, di non aver seguito niente. Il mio cervello non ha un millimetro disponibile. So che la vita deve andare avanti, eppure mi voglio arrogare il diritto di farmi sopraffare dal presente. Solo così, credo, è possibile intuire che cosa rimane tra le mani quando la guerra arriva. E ciò che rimane, Fenoglio insegna, sono le persone che amiamo.
Giorni fa, mentre tornavo da uno dei miei improvvisi viaggi solitari, assonnata nel taxi di un autista quieto e gentile, mi sono obbligata a guardare la città che scorreva fuori dal finestrino aperto. Ho guardato i palazzi che si allungavano sopra la mia testa e ho pensato alla fortuna di aver potuto mettere radici in un luogo. Tornavo a casa, ed ero al sicuro. Tornavo a casa e avrei trovato persone pronte a parlarmi ascoltarmi portarmi a ballare. Quando la guerra che sta fuori e dentro di noi arriva, sono le relazioni che abbiamo tessuto che ci permettono di resistere e trovare un senso agli sbandamenti e alle incongruenze della vita.
Quando la guerra arriva, tutto ci domanda cosa siamo stati capaci di legare a noi stessi. Forse, quando la guerra arriva, rimangono solo pochi ricordi. Rimangono quegli attimi in cui si ha avuto il coraggio di farsi vedere così come si è e di avvicinarsi a un’altra storia, piano piano, in punta di piedi. Rimane chi è stato ad ascoltare le storie che ti dimentichi di aver raccontato più volte, chi ha pulito il tuo vomito sul pavimento, chi ti ha preso le medicine e chi ha preso mille mezzi per ascoltarti piagnucolare sul divano in un inverno troppo freddo. Chi ti offerto da bere e chi ti ha comprato il latte che ti dimentichi sempre di comprare, chi ti corregge le bozze, chi ti ospita in una città che un tempo è stata anche tua, chi ha risposto alle tue chiamate nel mezzo della notte, chi c’è stato anche quando non voleva e aveva sonno o la febbre o fame o non era interessato alle tue dissertazioni minuziose e ossessive. Rimane chi ami, chi hai imparato a riconoscere dagli oggetti e abiti che porta con sé.
Quando la guerra arriva, ed è già qui, voglio sapere di avere addosso chi amo e che non ho lasciato indietro nessuno. Voglio gli stivaletti alti e polverosi di R, le Crocs colorate di G, la maglia a righe verdi con i bottoncini di C, rubata più volte, e la gonna semitrasparente di pizzo bianco di L. Ma anche il cordino multicolore per gli occhiali di L, la felpa verde consunta di M, le converse marroni di C e il trench beige lungo di A. La giacca bianca corta, primaverile, di K, gli anelli contorti di P, la giacca di jeans di E indossata nel fresco del mattino di ritorno da un club. Il marsupio nero CP Company di C, il cappotto grigio di V, i braccialetti tintinnanti di M, i pantaloni chiari e dritti di I, gli stivali neri con la punta quadrata di S, la giacca verde con il colletto di pelo di L, i mocassini Celine di G, la borsetta nera, rigida, di Prada di S, i sandali con la zeppa di I, la borsa in pelle Miu Miu con il fiore di C, il cappellino di lana all’uncinetto, blu e azzurro, di P, gli scarponi sporchi di terra di N.
C’è chi pensa che abbiamo tutto il tempo del mondo, eppure mai come ora la vita si rivela sottile e delicata, un bicchiere di cristallo sul bordo di un tavolo. Penso a quante volte la vita ci scorre tra le dita e ci perdiamo in dettagli che ci hanno insegnato a considerare come fondamentali. Perdiamo persone, relazioni, connessioni e vite possibili che il futuro cela in sé e che nasconde per sempre, quando non le scegliamo. In questa newsletter c’è poca moda, ma ci sono tanti vestiti che tengo stretti a me, per non farli scomparire nelle pieghe fitte della storia, per non consumarmi nel rimpianto di non aver amato abbastanza, per essere pronta quando la guerra arriva.