Da mesi e mesi, senza risultati soddisfacenti, sto cercando una borsa Louis Vuitton x Murakami. Non voglio la Cherry Blossom e nemmeno quella con il Panda, o la Monogramouflage: desidero la Multicolor Monogram con lo sfondo bianco.
La borsa è stata lanciata nella spring/summer 2003 grazie alla collaborazione tra Louis Vuitton, con Marc Jacobs come direttore creativo, e l’artista giapponese Takashi Murakami che ha accettato di lavorare con il marchio solo perché tra i giapponesi era diffusissimo.
Nel tempo è stata indossata da varie celebrities, da Rihanna a Jessica Simpson, a Paris Hilton e Lindsay Lohan, ed è diventata icona della leggerezza degli anni 2000. Poi sono arrivati il 2008 e Nicholas Ghesquière, e la leggerezza nonché la collaborazione con l’artista si sono concluse. I prezzi di questa fortunata collezione sono schizzati alle stelle e nel tempo sono diventate sempre più difficili da trovare, ma non di certo per Kim Kardashian che nel 2018 ne ha regalate diverse a tutte le “baby girls” della famiglia.
In un tempo in cui la moda non è capace di darci una direzione e in cui non ha più senso gridare no future! come i Sex Pistols perché anche il punk ormai è stato fagocitato dai trend e dal marketing, rifugiarsi negli abiti e dimenticare la moda entrando in un’eterotopia momentanea mi sembra necessario per ritornare alla moda stessa con una lucidità nuova. Nell’abito amato e consumato e nei ricordi suscitati da una forma o un tessuto, e dai dettagli che solo nel tempo riusciamo ad apprezzare. Non voglio prendere parte al grido di battaglia del momento - ritorniamo agli abiti! creiamo abiti indossabili! - perché mi sembra superficiale e fuorviante: solo una piccola parte della società si può permettere di acquistare abiti dai brand di moda e del lusso, noi ci accontentiamo di profumi, magliette di cotone logate, a volte mini borse. E dei mercati, di vinted ebay e gli armadi di vecchie signore messi in vendita a mercatini vari, ignare dell’inflazione senza pari che hanno conosciuto i prodotti della moda e del lusso negli ultimi anni (i prezzi sono aumentati del 25% dal 2019 e qui alcuni editor del New York Times, tra cui Vanessa Friedman, ne discutono brevemente).
Il mio desiderio quindi non è legato né alla nostalgia per gli anni 2000 né alla volontà di un ritorno agli abiti. Viene invece dai ricordi di infanzia e, in modo specifico, dai ricordi delle sagre di paese a cui andavo delle volte a mangiare con i miei genitori e più avanti a bere vino simile all’aceto con gli amici. Le sagre le ho sempre amate molto, all’inizio tenendo questo amore un po’ nascosto, perché è così che nascono tutte le grandi storie d’amore. Sono il luogo e il momento sospeso fuori dal tempo in cui il paese e quelli circostanti partecipano a un evento collettivo e finisce che tutti ci vanno, anche chi non vuole e si lamenta del rumore, della folla e dei bicchieri di plastica abbandonati sul prato, ma che passa per ordinare del cibo da portarsi a casa in velocità.
Alle sagre ci sono i vecchi che ti scrutano ogni volta che entri nel tendone, i giovani che non se ne sono mai andati, con le Salomon prima che fossero cool e i cappellini con il frontino curvato a cui hanno applicato piccole borchie. Ci sono i metallari, ovvero l’unica forma di ribellione pensata e dunque accettata di buon grado dalla comunità, che finiscono per bere troppo, ma mai quanto i tipi dai cappellini borchiati. E poi ci sono le donne e le ragazze. Le donne con una strana acconciatura di capelli corti cotonati e la frangetta stirata, stiratissima, e scarpe che ho sempre reputato strane - con un po’ di tacco, la suola di gomma, a volte degli strass sui lati, prezzi incredibilmente alti e mai messi in discussione perché sono quelli del negozio di scarpe del paese, of course. Ma torniamo alle donne, o meglio, le ragazze. Le ragazze sono sempre meravigliose e scrutano la folla con attenzione, si controllano il trucco. Negli anni della mia infanzia, indossavano larghe cinture bianche, top aderenti con strass, jeans a vita bassa, ed erano ai miei occhi splendide di rosa, lilla, verde fluo, bianco accecante, e di ombretto azzurro o madreperlato sulle palpebre. Ma soprattutto avevano la Louis Vuitton x Murakami al braccio, di solito una Speedy. Che fossero false l’ho imparato in tenera età, con mia mamma che mi diceva: sono false, e se non lo sono le portano male. Perché il segreto per il successo tramandato da mia nonna sta nelle scarpe: bisogna avere sempre belle scarpe perché da queste dipendono le sorti dell’intero look e la prima impressione di chi ti guarda. Le scarpe di queste ragazze fatate ai miei occhi poco esperti e alla mia memoria fallace di bambina non devono essere state rilevanti perché non le ricordo, ma non devono aver raggiunto gli standard minimi della famiglia se mia mamma con assoluta certezza affermava che queste borse colorate erano false. Le imitazioni mi hanno sempre affascinato come prova della nostra necessità senza fine di avere simulacri, di afferrare per come si può e a tutti i costi un’idea, lo spirito del tempo in cui si vive, uno status. Lo trovo divertente e rasserenante, un moto ondoso di risacca, di cose che ritornano senza fine.
La mia Louis Vuitton per Murakami sarebbe tutte queste cose, un riconoscere la mia infanzia, le persone che ricordo e forse un po’ ho immaginato, il paese da cui vengo che dopo questa newsletter mi disconoscerà una volta per tutte. È un confermare ancora una volta il mio sostegno alla provincia e alle sue persone, sempre più combattive di chi arriva dalla città mai davvero allenato ai provincialismi multiformi che tutti abbiamo in agguato dentro di noi.
Questa newsletter non è solo una celebrazione di un oggetto ma anche una richiesta d’aiuto per trovarlo a un prezzo da stipendio dell’editoria (ps comprate i giornali, pagate per gli articoli online!!!). La mia vorrei che fosse vera così quando torno in paese tutti penseranno che sia falsa e io terribilmente fuori moda. Così quando giro a Milano vestita come un uomo di mezza età divorziato o in pigiama la gente penserà che è falsa o che ho poco gusto.
E voi ditemi: qual è il capo o l’accessorio che più desiderate e perché?
La Jackie di Gucci. Perché sin da piccola sono innamorata di Jackie Kennedy e la prima volta l’ho vista su di lei. Quelle nuove non mi convincono molto. Quelle anni ‘90 sono stupende…😘
typoooo perdonami Marc 💔🎀